sabato 19 marzo 2011

Stelle a rotelle

di Fulvio Gon

Era un sabato di piena estate, alle otto di sera. In viale Miramare, sul lato destro della strada, verso Barcola, si stava rinnovando il rito, implacabile come la liquefazione del sangue di san Gennaro.
Centinaia di macchine, un’enormità per l’epoca, tanto che il traffico non si chiamava ancora traffico, s’infilavano una dietro all’altra come topi vicino al marciapiede a partire dal giardinetto di Roiano fino oltre alla curva dell’autoparco comunale, all’ingresso del Piccolo Mondo, un locale dove i “signori” andavano a ballare, per terminare davanti alle case dei ferrovieri, poco prima del cavalcavia. Verso le nove era tutto pieno e qualche “600” , per parcheggiare, doveva fare una temeraria conversione a “U”, sfidando l’allarmato “din din din” del frenatore del tram numero 6 che correva col suo rimorchio verso Barcola, imprigionato nelle rotaie che gli impedivano di frenare di colpo. Ma tutti sopportavano tutto: il sabato sera c’era La Partita. “Dove te va? Vado all’hockey”. Un avvenimento. Pensate che la tv aveva un paio di canali, in casa a luglio faceva caldo, l’aria condizionata chi ce l’aveva, poche le alternative, forse il ballo Paradiso. Non dico che
le ragazze, per andare all’hockey si mettessero in lungo, ma “eleganti” sicuramente sì. Un evento tra lo sportivo e il mondano, la partita: forse solo la Wimbledon dell’Open di tennis regge al paragone. Che se a Trieste ci fosse stata la Regina d’Inghilterra, in viale Miramare per Triestina-Novara ci sarebbe andata. Alle 21. 15 il Pattinaggio era già pieno. Il campo era ancora scoperto, non imbruttito da quella terribile imbragatura d’amianto che
poi venne imposta dalla federazione per evitare i rinvii dovuti ai temporali estivi.
La gente, dopo aver straripato dalla gradinata e dalla tribuna, si sistemava dove poteva, perfino sugli alberi, sommandosi ai portoghesi che assistevano dall’alto all’incontro dopo essersi intrufolati da un allora famoso buco nella rete in salita di Gretta. Improvviso, dagli altoparlanti, partiva un brano della Carmen: Lia, Erica, le campionesse di allora dell’Edera e del Ferroviario di pattinaggio artistico, irrompevano sulla pista come cavalle imbizzarrite, esibendo tra un axel e un angelo apprezzatissimi e cortissimi gonnellini, che si sollevavano al vento, contribuendo a stuzzicare un clima di quasi eccitazione, cone quando sta per uscire il toro. Erano gli Anni Sessanta, i Favolosi Anni Sessanta. Ed eccoli, gridati dall’annunciatore,
i nomi: Mariiii.... uooooohhh, boato... Cervo.....uooooohh... Prinz... uooohh... Martellani... uoooh... Le maglie rosse erano quelle della Triestina, identiche, ovviamente, a quelle del calcio, perché allora Unione voleva dire proprio unione: calcio, hockey su pista e su prato, corsa, nuoto, pallanuoto e tanti anni prima anche atletica e ginnastica. Identiche, le maglie, con un piccolo particolare in più, un’ asola sopra allo scudetto con l’alabarda, dove stava appuntata una stella d’oro, a significare che la Triestina aveva portato a casa più di 10 scudetti, a partire da quello storico del 1925, quando sulle piste di tutta Italia, pattini ai piedi, sferragliava un ragazzo che - visto il nome - deve aver contribuito, allora, all’ottimo successo di questo sport in
quesi tempi discussi e tragici. Si chiamava Bruno, ma forse più del nome può ricordare qualcosa il cognome: Mussolini, terzo figlio del duce. L’onore della stella era condiviso con due sole società, una di hockey, il Novara, una di calcio, la Juve, che poi superarono quota venti. Il Novara è giunto addirittura a quota 32. La Triestina si fermò a 19 scudetti, l’ultimo nel 1967. Disputò la Coppa dei campioni, fu battuta in finale dal Reus Deportivo, campione di Spagna. Poi, lento, il declino. Con la Triestina
quello del Dopolavoro Ferroviario, che della pista di viale Miramare era proprietario, mentre l’Edera, che aveva a sua volta vinto uno scudetto nel 48, già da tempo viveva di ricordi. Un declino lento come quello di Trieste. Ma, come la città, l’hockey non
è mai morto. E’ scivolato via nelle memorie, forse anche lui orfano delle Partecipazioni statali e di un patriottismo che “doveva” conquistare quell’Italia nei cui campionati aveva sempre preteso di gareggiare, magari con il camuffamento del nome in Pubblico Impiego. Da dieci anni, più nulla, cancellato dai campionati. Adesso quel “Mari uooohh” di quel 1964 dei tram e delle 600, che non è né il figlio né il nipote di quell’Enzo Mari, portiere della nazionale e del resto del Mondo, ma è sempre lui, ritenta. Al diavolo deve aver venduto quella sua maschera da mummia, al posto dell’anima.
Lui l’Anima dell’hockey ci riprova. Ha messo insieme quaranta ragazzi che ritentano l’avventura, come quei primi “greghi” che avevano messo su la squadra tanti anni fa. La Triestina hockey è morta, viva l’Edera, di cui Mari è caposezione. Tutto incominciò a Barcola, si ricomincia in via Boegan.
Il Pattinaggio, è lì, mari anche, e ci sono pure le ragazze del pattinaggio artistico. Come diceva il dottor Frankestin: “SI PUOOO’ FAAAREEEE...”

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